Un giorno io ho perso una parola

sono venuta qui per dirvelo e non perché voi abbiate risposta

Non amo i dialoghi o le domande: mi sono accorta che cantavo in una orchestra che non aveva voci

Ho meditato a lungo sul silenzio, al silenzio non c’è risposta.

Alda Merini


mercoledì 28 marzo 2012

Vieni sempre, vieni



Non avvicinarti.
La tua fronte, la tua infuocata fronte, la tua accesa fronte,
le impronte di certi baci,
questo bagliore che anche di giorno si vede se t’avvicini,
questo bagliore contagioso che mi rimane in mano,
questo fiume luminoso dove immergo le braccia,
dove non oso quasi bere,
per timore poi d’una vita dura ornai d’astro brillante.
Non voglio che tu viva in me come vive la luce,
con questo isolamento di stella che si unisce alla sua luce,
cui l’amore è negato attraverso lo spazio
duro e azzurro che separa e non unisce,
dove ogni astro inaccessibile
è una solitudine che, gemebonda, trasmette la sua tristezza.
La solitudine scintilla nel mondo senza amore.
La vita è una vivida corteccia,
una rugosa pelle immobile
dove l’uomo non può trovare il suo riposo,
per quanto scagli i suoi sogni contro un astro spento.
Ma tu non avvicinarti.
La tua fronte sfavillante,
carbone acceso che mi strappa alla stessa coscienza,
duello sfolgorante in cui di colpo provo la tentazione di morire,
di bruciarmi le labbra con il tuo contatto indelebile,
di sentirmi la carne disfarsi contro il tuo diamante rovente.
Non avvicinarti,
perché il tuo bacio si prolunga come l’urto impossibile delle stelle,
come lo spazio che all’improvviso s’incendia,
etere propagante dove la distruzione dei mondi
è un unico cuore che totalmente s’infiamma.
Vieni, vieni, vieni
come il carbone consunto e oscuro che racchiude una morte;
vieni come la notte cieca che mi avvicina il suo volto;
vieni come le due labbra segnate dal rosso,
per quella lunga linea che fonde i metalli.
vieni, vieni, amore mio; vieni, ermetica fronte, rotondità quasi movente
che brilli come un’orbita che nelle mie braccia si estingue;
vieni come due occhi o due profonde solitudini,
come due imperiosi richiami da una profondità che non conosco.
Vieni, vieni, morte, amore: vieni subito, ti distruggerò;
vieni, che voglio ammazzare, o amare, o morire, o darti tutto;
vieni, che tu rotoli come pietra lieve,
confusa come una luna che chiede i miei raggi!
 (di Vicente Aleixandre premio Nobel 1977)
 

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